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Sindria call’e boi

L’anguria call’e boi è caratterizzata da una pianta molto rustica dotata di elevata vigoria, apparato radicale molto esteso, foglie di dimensione medio grossa che garantiscono una buona copertura dei frutti, ciclo produttivo mediotardivo.

I frutti sono caratterizzati da una forma ovale- allungata che ricorda il rumine bovino da cui prende spunto il nome call’e boi letteralmente  “stomaco di bue”.

La buccia è di colore verde mediamente intenso, molto sottile e di particolare fragilità al taglio, infatti al contatto con la lama si manifesta la formazione di una o più fenditure nel frutto accompagnata da un rumore caratteristico. Questa caratteristica è particolarmente apprezzata dai consumatori per le eccellenti caratteristiche organolettiche del prodotto.

La polpa di colore rosso intenso è priva di fasci vascolari evidenti, tende a sciogliersi facilmente liberando le componenti aromatiche che accompagnano l’equilibrato gusto zuccherino.

I semi risultano essere numerosi e di dimensioni medio grosse o piccoli, nel caso della variante dell’ecotipo denominata “Call’e Boi pisu pira”, letteralmente” semi di pera” derivante dal lungo processo di selezione realizzato da tempo immemorabile dai contadini gonnesi. La pezzatura dei frutti è da media a grossa (fino a 25 kg).

La coltivazione della sindria call’e boi è praticata in tutto il territorio ricadente nelle valli del rio “Piras”, del rio “Sibiri” e nelle pianure sottostanti , prevalentemente nelle aree pedemontane caratterizzate da disfacimenti granitici o nelle pianure alluvionali di natura franco argillosa. Entrambe le situazioni sono caratterizzate da una spiccata attitudine alla specie per giacitura, microclima favorevole e dotazione di elementi nutritivi. Questa situazione consente la realizzazione del ciclo di coltivazione con un ridotto apporto di concimi chimici e fitofarmaci.

La pratica agronomica tradizionale prevedeva la semina diretta e l’irrigazione con il sistema a scorrimento, attraverso l’utilizzo delle postarelle, is frommasa, in cui venivano deposti, a partire dalla prima decade di aprile, il letame e 4-5 semi che successivamente venivano diradati per ottenere l’investimento finale.

Per l’irrigazione si utilizzavano i solchi corasa sui quali si faceva scorrere l’acqua, utilizzando opportuni sbarramenti in terra per regolarne il flusso e correggere le frequenti differenze di pendenza nell’appezzamento.

Le lavorazioni consistevano in arature con cavalli o buoi e sarchiature manuali per il controllo delle erbe infestanti e trattamenti chimici limitati a prodotti rameici o insetticidi. Attualmente, nel rispetto della tecnica tradizionale, si è introdotto l’uso di piantine allevate in vivaio e l’irrigazione a goccia.

Per il resto si utilizzano tutti gli accorgimenti precedentemente citati, compreso il rispetto delle rotazioni colturali che prevedono un ritorno nello stesso appezzamento non prima di 5 anni. Gli apporti nutritivi si basano sull’utilizzo di sostanza organica e concimi complessi in fase di pre-impianto, mentre in copertura si utilizzano limitati apporti azotati e si evita l’uso di prodotti a base di potassio o fitoregolatori. Il controllo delle infestanti viene effettuato tramite sarchiature manuali o con l’utilizzo di film pacciamanti biodegradabili, si esclude l’impiego di prodotti chimici.

In Virtù delle favorevoli condizioni pedo-climatiche ed ambientali la difesa fitosanitaria è particolarmente semplificata e limitata a pochissimi interventi. Particolare cura ed abilità è necessaria in fase di raccolta per il riconoscimento in campo del grado di maturazione del frutto. È una operazione alla quale si dedicano pochi esperti che, con sapienti manovre, riescono a stabilire, in base al colore della buccia e al tono del rumore emesso al tocco, se raccogliere o meno ciascun frutto presente in campo.

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