DOP Campania

Provolone del Monaco

Il Provolone del Monaco è una Denominazione di Origine Protetta (DOP) presente nell’elenco nazionale approvato dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali, i cui requisiti sono regolamentati dal disciplinare di produzione della Regione Campania.

Caratteristiche

La denominazione di origine protetta (D.O.P.) Provolone del Monaco è riservata al formaggio prodotto con latte bovino e avente le seguenti caratteristiche:
– formaggio semiduro a pasta filata, stagionato, prodotto esclusivamente con latte crudo;
– una stagionatura di almeno centottanta giorni (sei mesi), con una resa massima di 9 kg per ettolitro di latte trasformato;
– una forma di melone leggermente allungato ovvero di pera senza testina con un peso minimo di 2,5 kg ed uno massimo di 8 kg;
– una crosta sottile di colore giallognolo con toni leggermente scuri, quasi liscia con leggere insenature longitudinali in corrispondenza dei legacci di rafia usati per il sostegno a coppia che suddividono il Provolone in un minimo di 6 facce;
– una pasta, di colore crema con toni giallognoli, elastica, compatta, uniforme e senza sfaldature, morbida e con tipiche occhiature (a «occhio di pernice») di diametro variabile fino a 5 mm, con eventuale presenza di sporadiche occhiature di diametro maggiore, fino a 12 mm, più abbondanti verso il centro della massa;
– un contenuto in grasso sulla sostanza secca non inferiore al 40,5%;
– un sapore dolce e butirroso ed un leggero e piacevole gusto piccante;
– gli ambienti di stagionatura, inoltre, conferiscono a questo formaggio i sapori esaltati dalla lunghezza della stagionatura.

Dopo 7-8 mesi il provolone tenderà ad ingiallire ulteriormente, ispessendo la crosta ed assumendo un sapore via via più piccante ed un aspetto della pasta più consistente, anche se ancora abbastanza morbida e sempre privo di sfaldature.”

Produzione

La D.O.P. Provolone del Monaco è prodotta con latte proveniente, per almeno il 20%, da bovini tipo genetico autoctono (TGA) Agerolese iscritti al registro anagrafico, e nella quota restante (80%) da bovini di razze diverse (Frisona, Brunalpina, Pezzata Rossa, Jersey, Podolica e Meticci locali).
Le strutture e attrezzature dell’allevamento dei bovini devono risultare coibentate ed aerate in modo da garantire la temperatura ed il ricambio dell’aria come previsto dalla normativa vigente sul benessere animale.

L’alimentazione delle bovine deve essere rappresentata per almeno il 40% della sostanza secca da foraggio e/o frascame.
La quantità giornaliera di frascame da somministrare alle bovine non deve superare i 15 kg tal quale al fine di evitare fermentazioni anomale che possono compromettere le qualità organolettiche del formaggio.
Il frascame è il prodotto ottenuto dalla potatura delle colture arboree (agrumi, olivo, etc.) e dei boschi di caducifoglie (castagneti cedui, etc.) e dalla pulizia dei terrazzamenti proveniente dall’area di produzione indicata all’art. 3, questo viene integrato con foraggi che dovranno provenire da colture di cereali da semi (avena, orzo, grano) e/o dall’affienamento di prati stabili naturali e di colture di graminacee o leguminose da foraggio.

Il latte crudo per la produzione del Provolone del Monaco deve provenire da vacche che non abbiano superato il limite massimo di duecentotrenta giorni di lattazione.
La produzione del Provolone del Monaco è consentita durante tutto l’anno, esclusivamente dal latte raccolto dopo ogni mungitura senza refrigerazione in stalla oppure giornalmente con la refrigerazione in stalla.

La trasformazione del latte deve avvenire nell’ambito delle 48 ore dalla mungitura e lo stoccaggio presso i caseifici deve essere effettuato per non oltre 24 ore in serbatoi d’acciaio inox refrigerati.
Il latte destinato alla trasformazione deve essere quello prodotto mediante secrezione della ghiandola mammaria e non sottoposto ad una temperatura superiore a 40°C o ad un trattamento avente effetto equivalente.

La coagulazione del latte deve essere ottenuta per via presamica per circa 40-60 minuti aggiungendo caglio in pasta di capretto o caglio naturale liquido di vitello da soli o in combinazione tra loro, con almeno il 50% di caglio in pasta di capretto, riscaldando a 34-42°C.
Quando la cagliata ha raggiunto la consistenza voluta, dopo alcuni minuti, si procede alla rottura fino ad ottenere grumi molto piccoli delle dimensioni dapprima di una nocciola e successivamente di un chicco di mais. Si lascia riposare il tutto per circa 20 minuti.
La cagliata deve essere poi riscaldata, così da avere nella massa una temperatura di circa 48-52°C, e lasciata prima riposare fino ad un massimo di 30 minuti, curando che la temperatura non si abbassi al di sotto dei 45°C, successivamente deve essere estratta dal siero e trasferita in teli di canapa o cestelli forati in acciaio per la maturazione.

Dopo che le prove di filatura, a mano in acqua calda, hanno dato esito positivo in termini di elasticità e resistenza, si deve procedere al taglio della cagliata in fettucce di dimensioni variabili. Seguono le operazioni, da effettuarsi manualmente, di filatura e modellazione della massa con acqua a 85-95°C in forme dalle pezzature stabilite dal disciplinare.
Segue il rassodamento per immersione in acqua fredda e la salatura per immersione in salamoia satura per 8-12 ore/kg di prodotto.

I formaggi ottenuti, legati in coppie, appesi su apposite incastellature, devono essere lasciati stagionare per maturazione lattico-proteolitica, prima a temperatura ambiente di asciugamento dai dieci ai venti giorni e quindi in ambiente a temperatura fra gli 8 ed i 15°C per un periodo non inferiore ai sei mesi, sottoposto in questo periodo esclusivamente ad operazioni di lavaggio e pulitura delle muffe ed eventuale oliatura (olio extra vergine di oliva – DOP Penisola Sorrentina).
La pezzatura delle forme dovrà essere tale che, a termine stagionatura, abbiano un peso minimo di 2,5 kg ed uno massimo di 8 kg.

Storia e curiosità

Sull’origine della produzione dei formaggi a pasta filata ed in particolare del provolone non si conosce nulla di preciso, sembra comunque accertato che essa non preceda il 1700.
Nella relazione «Caci, Burro, Strutto, Uova, Olii alla esposizione di Parigi del1878» Raffaele De Cesare, membro della giuria internazionale, fa una accurata descrizione dei prodotti rappresentanti dell’attività casearia dell’Italia di fine ‘800, sottolineando come dalla forma del caciocavallo in alcune regioni dell’Italia meridionale si è preferita quella a palla del provolone.

Nei Monti Lattari – Penisola Sorrentina l’allevamento del bestiame è sempre stato finalizzato alla produzione del latte, il quale in massima parte veniva destinato alla trasformazione casearia, in particolare burro, latticini, caciocavallo e provolone.
Si calcola infatti che nei primi anni del ‘900 da questo territorio si esportavano dai 300 ai 400 quintali di provolone al mese (E. Mollo, 1909). La scelta di produrre prevalentemente prodotti stagionati era dettata dalla necessità di spostare il commercio nella vicina città di Napoli, dal momento che il formaggio alimento troppo costoso per i contadini della zona, non trovava un suo mercato.
Data l’impervietà dei collegamenti la via migliore per raggiungere Napoli era quella del mare: un viaggio lungo e faticoso che iniziava nel cuore della notte.
I provoloni, trasportati a dorso dei muli fino alle spiagge, venivano caricati su imbarcazioni a remi e qui contadini improvvisati commercianti, per ripararsi dall’umidità del mare e della notte erano soliti coprirsi con un grande mantello simile al saio indossato dai monaci. Una volta giunti a Napoli, la gente che lavorava al mercato presso il porto iniziò a chiamare il trasportatore, il Monaco, ed il suo formaggio, il Provolone del Monaco.

Il Provolone del Monaco ha un profondo legame con l’ambiente che si evidenzia in tutta la filiera del prodotto. L’allevamento dei bovini, infatti, nei Monti Lattari – Penisola Sorrentina risale al 264 a.C., epoca in cui i Picentini, i primi abitanti di questi monti, furono deportati dalle Marche dai vincenti Romani.
I Picentini spostando dal territorio di origine i loro armenti e le loro masserizie trasformarono lo spazio sottratto ai boschi in terreno coltivabile, incominciando l’attività agricola e di allevamento di animali domestici, specialmente di bovini ad attitudine lattifera, al punto che per le eccezionali produzioni e qualità del latte i monti furono denominati «Lactaria Montes».
Da questo primo nucleo bovino, in seguito ai numerosi incroci effettuati con razze introdotte nei secoli successivi (Bretonne, Bruna Alpina, Jersey e Pezzata Nera Olandese) si è selezionata la razza che dal 1952, anno in cui fu presentato al Ministero dell’agricoltura e delle foreste lo standard, prende nome di Agerolese.

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