DOP Emilia Romagna

Prosciutto di Modena

Il Prosciutto di Modena è una Denominazione di Origine Protetta (DOP) presente nell’elenco nazionale approvato dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali, i cui requisiti sono regolamentati dal disciplinare di produzione della Regione Emilia Romagna.

Caratteristiche

La denominazione di origine del Prosciutto di Modena è riservata esclusivamente al prosciutto le cui fasi di produzione, dalla salagione alla stagionatura completa, hanno luogo nella zona tipica di produzione e viene attestata dal contrassegno apposto sulla cotenna.

Il prosciutto di Modena è ottenuto esclusivamente dalla coscia fresca di suini nati, allevati, e macellati nelle seguenti regioni: Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio.

Il prosciutto di Modena, al termine della stagionatura presenta particolari caratteristiche organolettiche e qualitative, che si concretizzano in una oggettiva caratterizzazione e nella ricorrenza di determinati parametri; questi ultimi sono l’inequivocabile risultato della correlazione, confermata nel tempo fra caratteristiche organolettiche e parametri chimici in funzione delle metodiche produttive.
Le particolari caratteristiche organolettiche e qualitative del prosciutto di Modena rispondono ai seguenti requisiti:
– forma a pera, con esclusione del piedino ottenuta con l’eliminazione dell’eccesso di grasso mediante rifilatura ed asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura;
– peso minimo non inferiore a chilogrammi sette; di norma ricompreso tra gli otto e dieci chilogrammi;
– colore rosso vivo del taglio;
– sapore sapido ma non salato;
– aroma di profumo gradevole, dolce ma intenso anche nelle prove dell’ago;
– consistenza caratteristica della carne dell’animale di provenienza.

Produzione

La lavorazione del prosciutto di Modena prevede 8 fasi.

ISOLAMENTO
Il maiale, dal quale si ricava la coscia fresca da impiegare nella preparazione del prosciutto di Modena deve essere: sano, di razza bianca, alimentato nel trimestre precedente la macellazione con sostanze tali da limitare l’apporto di grassi ad una percentuale inferiore al 10%, riposato e a digiuno.
Dopo la macellazione si procede al sezionamento della coscia, quindi al suo inoltro presso lo stabilimento di produzione dove viene subito sottoposta ai necessari controlli.

RAFFREDDAMENTO
Le cosce fresche ritenute idonee vengono sistemate in apposita cella, dove sostano per il periodo necessario a consentire il raggiungimento di una temperatura delle carni attorno agli 0 gradi centigradi; in tal modo la carne raggiunge la giusta consistenza ed una uniforme temperatura, facilitando così la successiva operazione di salagione in quanto una coscia troppo fredda assorbirebbe poco sale, mentre una coscia non sufficientemente fredda potrebbe subire fenomeni di deterioramento.

RIFILATURA
La fase di rifilatura consiste nell’asportare grasso e cotenna in modo da conferire al prosciutto la classica forma tondeggiante a “pera”. La rifilatura oltre a conferire il taglio tipico consente:
– di correggere eventuali imperfezioni del taglio
– di agevolare il verificarsi di condizioni ottimali per la successiva penetrazione del sale
– di identificare eventuali condizioni tecniche pregiudizievoli ai fini della successiva lavorazione.
Le cosce impiegate per la produzione del prosciutto di Modena non devono subire alcun trattamento ad eccezione della refrigerazione.

SALAGIONE
Le cosce rifilate vengono quindi sottoposte alla salagione, effettuata con il seguente procedimento.
Le cosce vengono asperse con sale, in modo che venga coperta sia la superficie esposta del lato interno che la cotenna. Per questa operazione la coscia rimane adagiata su un piano orizzontale.
Preliminarmente o contemporaneamente le cosce sono massaggiate con procedimenti manuali o meccanici onde predisporre la carne al ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni puntuali, il perfetto dissanguamento.
Per la salagione viene utilizzato cloruro di sodio, con esclusione di procedimenti di affumicatura. Mantenute sempre su un piano orizzontale, le cosce salate vengono sistemate in apposita cella, detta di “primo sale”, dove rimangono per un periodo variabile tra i 5 e i 7 giorni ad una temperatura oscillante tra 0 e 4 gradi centigradi e con una umidità relativa che varia tra 80% e 90%.
Trascorso tale periodo, le cosce vengono prelevate dalla cella, il sale residuale viene asportato dalla superficie, viene ripetuto il massaggio e, infine, viene ripetuta l’aspersione con ulteriore sale, secondo le modalità descritte.
Riposte in cella, detta di “secondo sale”, le cosce salate vi rimangono per ulteriori 12/15 giorni cioè fino a compimento della durata del processo di salagione, nelle medesime condizioni ambientali. Durante l’intero processo il prosciutto assorbe lentamente sale e cede parte della sua umidità.

RIPOSO
Dopo aver eliminato il sale residuo le cosce salate vengono poste in una sala apposita, per un periodo non inferiore a 60 giorni, in funzione della pezzatura e delle esigenze tecnologiche, a condizioni di umidità variabile tra il 65% ed il 75% ed una temperatura compresa tra i 2 e i 5 gradi centigradi.
Nel corso della fase di riposo, il sale assorbito penetra con graduale omogeneità all’interno della massa muscolare, distribuendosi in modo uniforme.
Vi si esercita la funzione preposta alla prosecuzione del processo di disidratazione, iniziata con il trattamento con il sale e le basse temperature.

LAVAGGIO
Ultimato il riposo, la coscia viene sottoposta ad una “lavatura” definitiva, mediante l’applicazione sulla superficie esterna di spazzolatura e di getti d’acqua miscelati con aria, ad una temperatura non superiore a 50 gradi centigradi.
Oltre ad un effetto completamente rivitalizzante, il lavaggio rimuove tutte le formazioni superficiali prodottisi durante la salatura e riposo per effetto della disidratazione e tonifica i tessuti esterni.
Prima del lavaggio le cosce vengono “toelettate” e, cioè, rifinite sul piano superficiale dagli effetti del sopravvenuto calo di peso.

ASCIUGAMENTO
Dopo averle fatte sgocciolare dall’acqua le cosce entrano nell’essiccatoio a 24/26 gradi centigradi per un periodo che varia tra le 5 e le 10 ore in rapporto alla quantità del prodotto, con una umidità relativa molto alta (caldo umido 85/90%).
Raggiunti questi livelli, si interviene con le batterie a freddo e si inizia così la vera fase deumidificante che può durare circa una settimana a seconda dei carichi e delle modalità di impiego delle apparecchiature.
La variabilità dei valori è funzionale alle tecniche del trattamento successivo, la stagionatura.

STAGIONATURA
La fase della stagionatura si può dividere in due periodi: la prestagionatura e la stagionatura vera e propria. Nella prestagionatura prosegue il processo di rinvenimento – acclimatamento delle carni a temperature variabili progressivamente tra i 10 e i 20 gradi centigradi, in condizioni di umidità in progressiva riduzione.
E così, in ogni caso, dopo l’asciugamento e l’eventuale prestagionatura, i prosciutti – a questo punto è più proprio chiamarli prosciutti anziché cosce suine – vengono trasferiti in appositi saloni di stagionatura, ambienti le cui condizioni di umidità e temperatura sono normalmente naturali, grazie all’esistenza e all’apertura quotidiana delle numerose finestre delle quali sono dotati, disposti in funzione trasversale rispetto alla disposizione dei prosciutti che, quindi, sono continuamente tutti sollecitati dall’aerazione naturale.
Solo quando le condizioni climatiche ed ambientali esterne presentano irregolarità od anomalie rispetto ai normali andamenti stagionali, è ammesso l’uso di impianti di climatizzazione di tipo “domestico” tali comunque da impiegare l’aria esterna.
Il processo di stagionatura dura normalmente otto mesi; la relativa durata è tuttavia sempre funzionale alla pezzatura della partita ed è variabile in funzione di essa, fermi i limiti minimi del ciclo completo di lavorazione descritti nel proseguo.
Nel corso della stagionatura, nelle carni si verificano i processi biochimici ed enzimatici che completano il processo di conservazione indotto dalle precedenti lavorazioni, determinando le priorità organolettiche caratteristiche grazie all’apporto dell’ambiente naturale esterno (poca umidità, ventilazione naturale che determinano l’aroma ed il gusto del prodotto).

Durante la stagionatura non avviene quindi alcun procedimento specifico di lavorazione, eccettuata la cosiddetta “sugnatura” (o “stuccatura”), operata una o due volte mediante rivestimento in superficie della porzione scoperta del prosciutto, con un impasto composto di sugna o strutto, sale, pepe e derivati di cereali, applicato finemente ed uniformemente mediante massaggio manuale.
Tale preparato e relativa applicazione hanno esclusivamente funzioni tecniche di ammorbidimento della superficie esterna non coperta dalla cotenna e di contemporanea protezione della stessa dagli agenti esterni, senza compromettere la prosecuzione dell’azione osmotica. Per tale ragione, la legislazione italiana non considera la sugna un ingrediente.
Il periodo minimo che comprende la durata del processo complessivo di lavorazione, dalla salagione alla ultimazione della stagionatura, si definisce come di seguito.
Essendo la durata del processo tradizionalmente commisurata al peso medio unitario espresso dalla partita, ai fini del presente disciplinare il periodo minimo di lavorazione scade nel corso del quattordicesimo mese dalla salagione; tale scadenza può essere anticipata al dodicesimo mese, a condizione che venga riferita a partite omogenee la cui pezzatura iniziale sia inferiore a 13 chilogrammi.

La valutazione del completamento del processo resta quindi collegata alle esigenze obiettive di lavorazione ed alle condizioni e caratteristiche proprie del prodotto.
Quindi, le indicazioni del presente disciplinare hanno rilevanza di normazione per quanto attiene alla esecuzione dei controlli e delle verifiche qualitative, relative all’osservanza dei requisiti previsti dal disciplinare stesso e quindi per l’apposizione del contrassegno.
Infatti, ai fini del presente disciplinare il completamento del processo di produzione viene attestato dalla apposizione del contrassegno costitutivo o distintivo d’origine, indicato alla scheda B ed apposto nei modi descritti nella successiva scheda G.

Storia e curiosità

Sotto il profilo storico, è attendibile ritenere che la produzione di prosciutti, nella zona tipica abbia le sue radici nell’epoca del bronzo.
Infatti, pur riconoscendo che la lavorazione del prosciutto crudo stagionato appartiene alla cultura storica di tutta l’Italia settentrionale e che risulta difficile collocare l’inizio di questa pratica in un preciso periodo di tempo, pare inconfutabile che sulle sponde del Panaro, zona geografica in cui ricorrono tutte le caratteristiche ambientali e morfologiche della più ampia “Padania”, l’allevamento del maiale, come animale domestico, sia cominciato in tempi veramente remoti, addirittura prima che in ogni altra zona dell’Emilia Romagna.
Grazie alla fertilità dei terreni da destinare alle prime pratiche agrarie per la preistorica coltivazione dei cereali e alle ampie zone boscate ricche di animali, le popolazioni della valle del Panaro avevano trovato le condizioni favorevoli allo sviluppo della loro civiltà, tanto da poter essere considerati appunto i primi nella regione a praticare l’allevamento; si sa, dunque, che nel neolitico e nell’eneolitico gli antichi abitatori della valle del Panaro erano agricoltori ed allevatori.

Appurato che i nostri antenati erano allevatori, e che il suino era uno degli animali domestici più rappresentativi, bisogna arrivare all’età del bronzo per conoscere qualcosa relativamente ai metodi di macellazione ed alle tecniche di conservazione delle carni.
Gli insediamenti originati dalla cultura terramaricola, hanno consentito il consolidamento dell’allevamento degli animali domestici e scoperto l’utilizzo del sale (cloruro di sodio). Si può quindi presumere che inizi da questo momento la produzione di carne conservata tramite la salagione.
Era, invece, il 150 a.C. quanto Polibio, attraversando la Pianura Padana, rimase colpito dalla “… terra straordinariamente fertile e ricca” e più tardi della Cispadania scriverà che “… l’abbondanza delle ghiande nei querceti allignati ad intervalli nella pianura, è attestata da quanto dirò: la maggior parte dei suini macellati in Italia per i bisogni dell’alimentazione privata e degli eserciti si ricava dalla Pianura Padana”.
Ulteriore impulso all’allevamento dei suini ed alla trasformazione delle loro carni si ha con l’avvento dei celti e dei romani.

La carne di maiale divenne ben presto cibo ambito sia dalle classi nobili che dalla popolazione contadina, rispettivamente per la bontà e per l’elevata capacità nutrizionale “La salagione aveva come oggetto dunque, innanzitutto le carni, a cominciare da quella di maiale, che per lungo tempo rappresentò la carne per eccellenza nella dieta quotidiana di larghi strati di popolazione.
Soprattutto di maiale salato erano costituite le scorte di carne delle famiglie contadine, che non di rado erano tenute a corrispondere al proprietario della terra un tributo annuo in spalle e prosciutti. Soprattutto di maiale erano costituite le scorte delle grandi aziende rurali, come quella di Migliarina (Carpi), dipendente dal Monastero di Santa Giulia”.

Alla pratica diffusa dell’allevamento (nel 1540 a Modena si contava una popolazione di 17.000 suini) si affiancava sempre di più la pratica della “pcaria”, che utilizzava la carne del maiale per la fabbricazione degli insaccati, raggiungendo sin d’allora livelli qualitativi e quantitativi particolarmente apprezzabili.
Nel 1547, infatti, sempre a Modena, i “lardaroli e salsicciai” che sino ad allora erano assimilati ai “beccari” si costituirono in corporazione autonoma; la loro arte era riconosciuta anche oltre i confini della città e Modena, in questo campo, era un vero e proprio punto di riferimento.

Del prosciutto in particolare, si cibavano anche i componenti delle fastose corti rinascimentali, tra le quali una delle più rappresentative era quella del Duca di Modena; il prosciutto non consumato direttamente, a conferma del suo pregio, non veniva scartato ma riutilizzato con ricette tramandate fino a noi come i famosi “tortellini”.
Tra il ‘600 e l’800 la lavorazione della carne di maiale si consolida e numerosissime sono le testimonianze scritte di tale arte.

L’importanza del suino e della lavorazione delle sue carni è poi cresciuta, nella nostra provincia, con il nostro secolo. Riporta la relazione sull’andamento economico della Provincia di Modena nell’anno 1929, a cura del Consiglio Provinciale dell’economia di Modena: “L’industria dei salumi ha avuto, nel biennio 1928-1929, un andamento abbastanza regolare, consentendo però, in generale, utili piuttosto modesti. La produzione delle rinomate specialità locali, e specialmente zamponi, mortadelle e cotechini, ecc. è stata nel 1929, discreta ed ha continuato ad alimentare la normale nostra corrente di esportazioni specialmente nei paesi dove prosperano numerose colonie di connazionali. L’industria è stata inoltre favorita dai prezzi dei suini grassi, che si sono mantenuti piuttosto bassi. Andamento pressoché analogo ha avuto l’industria della salagione dei prosciutti, che gode in questa Provincia meritata fama …”.

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