IGP Friuli-Venezia Giulia

Pitina

Il Pitina è una Indicazione Geografica Protetta (IGP) presente nell’elenco nazionale approvato dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali, i cui requisiti sono regolamentati dal disciplinare di produzione della Regione Friuli Venezia Giulia.

Caratteristiche

La Pitina è ottenuta da un impasto costituito da:
– una frazione prevalentemente magra di carne di una delle seguenti specie animali: ovino, caprino, capriolo, daino, cervo, camoscio;
– una frazione prevalentemente grassa di pancetta o spallotto di suino.

La Pitina esternamente si presenta di forma semisferica, di colore compreso tra il giallo dorato ed il giallo bruno; il colore interno al taglio è compreso tra il rosso vivace ed il bordeaux carico con la parte più esterna più scura.
Al taglio l’impasto si presenta magro con grana molto fine.
Il sapore è complesso e sapido con un caratteristico aroma di fumo.

Produzione

La materia prima per la lavorazione della Pitina è costituita da carne di ovino o di caprino o di selvaggina ungu­ lata limitatamente alle specie capriolo, daino, cervo, camoscio per la frazione prevalentemente magra e da pancetta e/o spallotto di suino per la frazione prevalentemente grassa.
La componente magra deve essere costituita con carni di un’unica specie animale compresa tra quelle sopra indicate.

La concia è costituita da una miscela di sale marino o di salgemma ovvero da una miscela tra i medesimi, associata a pepe, aglio, vino ed erbe aromatiche con l’uso di nitriti e nitrati.
Le erbe aromatiche ammesse sono: ginepro, kümmel o finocchio selvatico, semi di finocchio, achillea muscata.
Per l’impanatura si usa la farina di mais.
La materia prima carnea presenta i seguenti requisiti:
– colore e caratteristiche della carne: colore rosso del magro, assenza di grasso di copertura e di microemorragie o di ematomi;
– colore e caratteristiche della pancetta e/o spallotto di suino: colore rosso-rosato del magro e bianco candido del grasso.
Non è ammessa carne separata meccanicamente.

Tutte le fasi di produzione della «Pitina», dalla mondatura della materia prima carnea fino alla stagionatura del
prodotto, avvengono nella zona geografica di produzione.

La «Pitina» viene commercializzata intera, confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata.
Le operazioni di confezionamento della Pitina sono effettuate esclusivamente in laboratori situati nella zona di produzione e nel medesimo contesto della lavorazione.
Limitare il confezionamento al contesto di lavorazione della «Pitina» è necessario al fine di garantire il mantenimento della specificità del prodotto.
A differenza di altri prodotti stagionati, la Pitina non prevede una fase di insacco in budello dell’impasto.
L’unico agente «avvolgente» e protet­tivo è costituito dalla farina di mais presente sulla superficie dell’impasto agglomerato a forma semisferica.
Per­ tanto, confezionare il prodotto nel medesimo contesto della lavorazione evita sia la perdita della forma della Pitina, sia un indurimento eccessivo del prodotto dovuto alla permanenza del prodotto in ambienti con condi­ zioni di umidità e temperatura non controllati.

Caratteristiche territoriali

La specificità della Pitina si riscontra nelle qualità intrinseche e nell’originalità del prodotto, riassumibili nell’inu­suale utilizzo di carni di selvaggina o ovicaprine, non riscontrabile in tutto l’arco alpino e nelle modalità di conser­vazione che, a differenza delle generiche preparazioni a base di carne, non prevedono il budello o la cotenna ma, uno strato sottile di farina di mais che, insieme ad un utilizzo sapiente dell’affumicatura, consente la stagionatura e impedisce l’essiccazione eccessiva del prodotto.

La Patina nasce in un territorio dalle condizioni eco-ambientali distintive, che l’Osservatorio meteorologico regio­nale (OSMER, 2011) ha definito «una enclave prealpina dal profilo meteo-climatico autonomo, segnata da medie annue di precipitazioni autenticamente da record, con frequente rimescolamento delle masse d’aria aggiunte alla specificità del contesto orografico che ospita il “più basso nevaio permanente delle Alpi”.

Il territorio di produzione della Pitina sotto il profilo geografico si identifica in tre valli denominate Valcellina, Val Colvera e Val Tramontina, inserite nel comprensorio montuoso soprastante l’alta pianura friulana occidentale, rac­chiuso tra il corso dei fiumi Tagliamento e Piave. Parte del territorio ricade nel comprensorio del Parco Naturale Dolomiti Friulane.
Si tratta di un territorio storicamente contrassegnato da povertà, emigrazione e da un’economia di sopravvivenza, nella quale la carne era un bene prezioso e dove erano rarissime le tracce dell’allevamento del maiale. La provvista di proteine animali derivava dalle carni di pecore e capre macellate per raggiunti limiti di età o perché ferite o cadute in un dirupo ovvero, saltuariamente, da carni di selvaggina ungulata frutto di caccia esercitata quasi sem­pre di frodo.
La necessità di conservare il più a lungo possibile soprattutto per i mesi invernali la poca carne disponibile ha fatto evolvere tecniche di conservazione, del resto comuni a tutto l’arco alpino e all’area del nord Europa, tra le quali l’affumicatura e la stabilizzazione con l’aggiunta del grasso di suino.

Nel caso della Pitina, le carni che non venivano consumate subito e, più in generale, le parti meno pregiate, venivano sgrossate, ripulite dalle componenti adipose e dai tendini, sminuzzate su un tagliere chiamato «pestadoria» con un pesante coltello chiamato «manarin» e quindi ricomposte in polpettine con l’aggiunta di sale, spezie (talvolta messe a macerare nel vino), finocchio selvatico.
Le polpettine («pitine») venivano poi passate nella farina di mais e quindi messe ad asciugare al fumo del camino («fogher» o «fogolar»).

Storia e curiosità

Una serie di testimonianze orali, raccolte da studiosi locali a partire dal 1978 permettono di affermare con certezza che la preparazione ed il consumo della Pitina erano largamente diffusi all’ini­zio dell’800 in Val Tramontina e nelle vallate limitrofe.

Il nome Pitina si è originariamente diffuso nella Val Tramontina. I primi produttori dei quali è rimasta traccia sono stati gli abitanti delle frazioni di Inglagna e Frasaneit, nel comune di Tramonti di Sopra. In questo Comune fin dal 1969 la Pro Loco ha recuperato la tradizione locale organizzando la Festa della Pitina che da allora si ripete ogni anno in luglio.
Tra il 1997 ed il 2000 la «Pitina» viene inserita da Arcigola Slow Food nel primo elenco dei prodotti da salvare, contestualmente alla redazione di un video (Pieffe immagini, Maniago, 1999) ed alla fondazione di un apposito «presidio», per salvaguardarne tradizione e ricetta.
Quasi contemporaneamente il prodotto viene inserito nel primo elenco del registro dei prodotti tradizionali redatto dalla Regione Friuli Venezia Giulia ai sensi del DM 350/99.

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