DOP Calabria

Pecorino Crotonese

Il Pecorino Crotonese è una Denominazione di Origine Protetta (DOP) presente nell’elenco nazionale approvato dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali, i cui requisiti sono regolamentati dal disciplinare di produzione della Regione Calabria.

Caratteristiche

La denominazione di origine protetta (DOP) Pecorino Crotonese è un formaggio a pasta dura, semicotta, prodotto esclusivamente con latte intero di pecora.

Il pecorino Crotonese presenta le seguenti caratteristiche:
– Forma: cilindrica con facce piane con scalzo dritto o leggermente convesso;
– Peso: compreso tra kg 0,5 e kg 5,0. Per i formaggi sottoposti a stagionatura superiore ai sei mesi, la forma può raggiungere il peso di kg 10,0.
– Dimensioni: variano in funzione del peso del pecorino.
– Aspetto esterno: sulle forme sono evidenti i segni del canestro.
– Grasso: Il contenuto in grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 40%.
– Proteine: le proteine non devono essere inferiori al 25% (gr/100 gr parte edibile).
– Umidità: non inferiore al 30% (gr/100 gr parte edibile).

Il pecorino crotonese è usato come formaggio da tavola nelle varianti fresco, semiduro e stagionato, anche da grattugia.
Al momento della degustazione, appena tagliata la forma, si avverte un odore lieve di latte di pecora legato armonicamente con altri odori, suoi caratteristici, quali odore di fieno, erbe mature di campo, sentore di nocciola e di fumo.

Varietà

Pecorino Crotonese Fresco
Crosta di colore bianco o leggermente paglierino.
Gusto deciso, morbido e leggermente acidulo con crosta sottile.
Sono evidenti i tipici segni del canestro.
La pasta è tenera, uniforme e cremosa di colore bianco latte, con rare occhiature.

Pecorino Crotonese Semiduro
Crosta spessa di colore leggermente bruno.
Gusto intenso e armonico, la pasta semidura è compatta con rare occhiature.

Pecorino Crotonese Stagionato
A lunga stagionatura (oltre i sei mesi): crosta dura e bruna, può essere cappata (curata) con olio o morchia di oliva.
Gusto intenso e deciso, dal leggerissimo retrogusto piccante.
La pasta è di colore leggermente paglierino e presenta rare occhiature.

Produzione

La denominazione DOP Pecorino Crotonese è riservata al formaggio prodotto con latte di pecora intero, proveniente da pecore allevate esclusivamente nella zona di produzione.

Le materie prima utilizzate sono:
– Latte: ovino intero crudo, termizzato o pastorizzato secondo le vigenti normative.
– Caglio: pasta di capretto.
– È consentito lo sviluppo di fermenti lattici naturali esistenti nel latte sottoposto a caseificazione o l’uso di sieri innesti-lattoinnesti naturali o esistenti nella zona di produzione.
– Sale: (NaCl) salgemma.

La razione di base annuale è costituita essenzialmente da foraggi provenienti dalla zona geografica.
Il bestiame del quale si utilizza il latte è nutrito prevalentemente al pascolo da foraggi verdi e con fieni aziendali non fermentati coltivati nella zona medesima.
È consentita l’integrazione con concentrati OGM FREE provenienti fuori della zona geografica, in particolare nelle giornate invernali quando le pecore non possono pascolare.
La percentuale massima di complemento non può superare il 40% del totale nell’arco dell’anno.
L’allevamento è semi-brado; il gregge è lasciato libero di pascolare per fare ritorno la sera nell’ovile, ma i capi sono sorvegliati, vaccinati e curati in caso di necessità.
Le greggi sono al pascolo dal mese di settembre al mese di giugno.

La produzione del formaggio pecorino Crotonese è consentita tutto l’anno.
Il latte intero, proveniente da due a quattro mungiture giornaliere, destinato alla trasformazione, può essere utilizzato crudo o può essere sottoposto a termizzazione o pastorizzazione.
Nel caso in cui il formaggio sia prodotto da latte intero crudo la trasformazione deve avvenire secondo la vigente normativa in materia.
Il latte intero crudo, termizzato o pastorizzato deve essere coagulato, per via presamica con aggiunta di caglio di pasta di capretto, ad una temperatura compresa tra i 36-38° C e per un tempo di 40-50 minuti.
È consentito lo sviluppo e l’utilizzo di fermenti lattici naturali esistenti nel latte sottoposto a caseificazione o l’uso di sieri innesti-lattoinnesti naturali provenienti ed esistenti nella zona di produzione.
Successivamente avviene la rottura della cagliata in modo da ridurre la stessa in granuli della dimensione di un chicco di riso.

Mantenendo in agitazione la massa, si sottopone la cagliata a cottura di 42 C° – 44 C° per 5 – 6 minuti, quindi si lasciano sedimentare i granuli sul fondo della caldaia così da ottenere una massa compatta.
Nel caso di utilizzo di latte crudo, dopo la sedimentazione, la massa caseosa viene estratta in pezzi e trasferita nelle tipiche forme a canestro per la formatura.
Nel caso di utilizzo di latte termizzato o pastorizzato, dopo la sedimentazione, la massa caseosa viene fatta defluire insieme al siero grasso nelle tipiche forme a canestro per la formatura.

Al fine di favorire lo spurgo della quantità di siero in eccesso e conferire al formaggio la tipica forma a canestro, le forme, ottenute da latte crudo sono sottoposte a pressatura manuale o sovrapposte l’una sull’altra, mentre le forme, ottenute da latte termizzato o pastorizzato, sono sottoposte a stufatura a vapore per un periodo variabile di 120-240 minuti.
I canestri possono essere in plastica, in giunco o di altro materiale adatto a venire a contatto con i prodotti alimentari secondo la normativa vigente.
Le forme così ottenute nei canestri vengono sottoposte a cottura, attraverso immersione per qualche minuto in siero caldo a temperatura non superiore a 55° C, al fine di ottenere la perfetta compattazione dei grumi caseosi, l’ulteriore spurgo del siero e la formazione della crosta.

La salatura delle forme è effettuata sia a secco che in salamoia (soluzione di acqua e sale marino), i giorni sono variabili secondo le dimensioni delle forme.
Nel primo caso il sale viene cosparso manualmente, nel secondo caso le forme vengono immerse in salamoie sature.
Questa operazione permette di accelerare l’ulteriore spurgo del siero, contribuisce ad evitare la formazione di muffe sulla superficie del formaggio, accentuando il sapore delle stesso.

Il periodo di maturazione è variabile in funzione della tipologia di prodotto da ottenere.
Per il prodotto a pasta semidura la maturazione deve protrarsi per un periodo compreso tra i 60 giorni e i 90 giorni.
Per il prodotto stagionato la maturazione deve protrarsi oltre i 90 giorni.
La stagionatura deve avvenire in locali freschi e debolmente ventilati o in grotte di arenaria adeguatamente allestite.

Caratteristiche territoriali

La zona geografica di produzione è un’area omogenea sia dal punto di vista geografico che storico-culturale e coincide, sostanzialmente, con il territorio del Marchesato di Crotone, che sin dall’anno 1390 dell’era volgare identifica il territorio in questione.

L’area di produzione è caratterizzata dalle tipiche colline locali di argilla plioceniche del Crotonese e nella fascia montana confinante con la provincia di Crotone, che va dalla Sila Piccola alla Sila Grande.
Quest’area geografica è dal punto di vista fisico strettamente interconnessa, infatti gli altopiani silani sono in gran parte i pascoli naturali estivi per le greggi stanziate nelle colline comprese fra i monti in questione e il mar Jonio.
Tale peculiare conformazione del territorio ha influenzato il clima locale, caratterizzato da inverni freddi ed estati calde, ma con escursioni termiche relativamente contenute, umidità costante e con un valore medio di umidità relativa pari al 58%.

Nell’area di produzione del pecorino crotonese sono presenti 398 allevamenti ovini con una consistenza totale di circa 49.000 capi, che hanno registrato un incremento del 4% circa negli ultimi dieci anni, in controtendenza rispetto al dato riferito all’Italia.
Il sistema di allevamento è il pascolo semibrado unito alla pratica della monticazione e della demonticazione.
Nell’area di produzione vi è grande disponibilità di pascoli (la SAU utilizzata a pascolo e prati permanenti è superiore al 40% del totale), dove sono presenti famiglie di piante che sono considerate di scarso interesse zootecnico o, addirittura, infestanti, ma presenti in abbondanza nelle zone marginali che caratterizzano l’area di produzione.
Il pascolo dell’area di produzione, è sufficientemente omogeneo.
La composizione floristica dei pascoli naturali è composta prevalentemente da essenze vegetali fresche, quali: loglio, trifoglio, cicoria, sulla, erba medica di ecotipi locali.

Nel territorio in questione il mestiere del Mastro Casaro è considerato prestigioso e testimonia un’antica tradizione documentata storicamente; l’utilizzo di manodopera familiare per la caseificazione, inoltre, ha consentito di mantenere costanti e inalterate le tecniche di caseificazione nel tempo.
Il saper fare del casaro costituisce un importante elemento di specificità; il processo di produzione è infatti manuale.
È determinante l’esperienza del casaro nell’individuare il giusto punto di coagulazione del latte prima di procedere con la rottura della cagliata con un attrezzo locale, il miscu, al fine di ridurre la cagliata in granuli della dimensione di un chicco di riso.
Tale attrezzo, per la sua conformazione, esercita una rottura energica, in grado di liberare molto grasso, tanto che il siero residuo dall’aspetto lattiginoso, e chiamato localmente lacciata, è indicatore di una corretta lavorazione della pasta.

Importante nel processo produttivo è la frugatura e la pressatura manuale della pasta dopo la messa in forma nei canestri; le forme dopo essere state frugate, rivoltate e pressate nei canestri sono immerse nella lacciata.
Si lascia acidificare il formaggio per uno o più giorni per poi avviare la fase stagionatura.
Durante la stagionatura sulla sua superficie si sviluppino alcune muffe caratteristiche, che il casaro monitora e deve saper riconoscere al fine di selezionare forme correttamente lavorate da quelle difettose e da scartare.
Il know how e l’esperienza del casaro si manifesta anche nella determinazione del periodo più idoneo per rivoltare le forme, spazzolarle o lavarle e capparle con olio di oliva o con morchia di olio d’oliva.

Storia e curiosità

Il Pecorino Crotonese è un formaggio che rappresenta un elemento costitutivo dello spazio rurale identificato con l’area di produzione: le sue testimonianze sono molto antiche, già antecedenti il medioevo, e documenti comprovanti l’esportazione risalgono già al XVI secolo.
Durante il Viceregno Austriaco (1707 – 1734) si assiste ad una massiccia esportazione di formaggio e all’inizio del gennaio 1712 a Napoli il reverendo Giacinto Tassone di Cutro, vende al mercante napoletano Aniello Montagna “200 cantara di formaggio Cotrone della presente stagione del corrente anno, non gonfio, ne tarlato, ne sboccato o serchiato”.
Anche nei recenti ultimi 25 anni il nome è utilizzato con continuità nelle etichette commerciali e da un’organizzazione di allevatori locali, si registrano inoltre numerosi tentativi di imitazione da parte di produttori di areali extraregionali.

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