IGP Veneto

Insalata di Lusia

L’Insalata di Lusia è una Denominazione di Origine Protetta (DOP) presente nell’elenco nazionale approvato dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali, i cui requisiti sono regolamentati dal disciplinare di produzione della Regione Veneto.

Caratteristiche

L’indicazione geografica protetta Insalata di Lusia è riservata esclusivamente all’insalata Lactuca Sativa, nelle due varietà Cappuccia e Gentile che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel disciplinare di produzione.

Le colture destinate alla produzione dell’Indicazione Geografica Protetta I.G.P. Insalata di Lusia, nelle due varietà Cappuccia e Gentile, devono essere costituite da piante della famiglia delle Asteracee, genere Lactuca, specie Sativa, varietà Capitata (denominata Cappuccia) e Crispa (denominata Gentile).
– Fusto: corto, massimo 6 cm, e molto carnoso; su di lui s’inseriscono le foglie di numero, forma, dimensione e colore variabile in funzione dell’andamento climatico;
– Gusto: fresco e croccante;
-Pianta: il prodotto in serra presenta una struttura più contenuta con grumo leggermente più aperto rispetto alla coltura in pieno campo.

Caratteristiche essenziali sono:
– leggerezza del cespo;
– morbidezza, dovuta all’assenza di fibrosità, accompagnata dalla turgidità anche dopo 10-12 ore dalla raccolta, assenza di fenomeni di lignificazione;
– croccantezza per le foglie giovani, fresche e turgide;
– percettibile sapidità, che esclude la necessità di cloruro di sodio nel condimento.

Coltivazione

L’insalata di Lusia deve essere coltivata in terreni con substrato sciolto o franco, caratterizzati da una tessitura piuttosto grossolana che li renda particolarmente permeabili.
Pertanto il terreno deve essere costituito da una percentuale di sabbia non inferiore al 30% e da una quantità di argilla non superiore al 20%.
Inoltre deve poter disporre di acqua per l’irrigazione.

La produzione dell’insalata di Lusia può avvenire sia in pieno campo, sia in coltura protetta.
Per la preparazione del terreno è obbligatorio effettuare una aratura (o lavorazione equipollente) almeno una volta all’anno, per interrare sia i residui colturali della coltura precedente, sia i concimi usati per la concimazione di fondo, alla profondità di 30-40 cm.
Per la coltivazione in serra, considerate le difficoltà che può comportare una tale lavorazione in ambienti limitati, in alternativa è ammessa una vangatura o una estirpatura.
Per i cicli di coltivazione successivi sono ammesse lavorazioni atte a ripristinare la struttura del terreno e all’interramento di eventuali residui colturali mediante aratura o vangatura o zappatura o estirpatura.
Successivamente alle suddette lavorazioni, e quindi in pre trapianto, seguirà una fresatura o erpicatura seguita da una rullatura per affinare e livellare il terreno creando le migliori condizioni per l’attecchimento delle piantine poste a dimora.

Viste le caratteristiche fisico-agronomiche del suolo della zona delimitata (buona percorribilità e lavorabilità, buona accettazione delle piogge e capacità di ritenzione idrica bassa) non è obbligatorio alcun tipo di avvicendamento.

L’operazione di trapianto si effettua utilizzando piantine con minimo 3 foglie vere dotate di pane di terra.
Per le operazioni di trapianto, qualora si utilizzino trapiantatrici o agevolatrici meccaniche, considerando che le stesse non possono garantire la precisione, è ammissibile una tolleranza delle distanze di trapianto pari ad un 10%.

Le analisi del terreno devono essere eseguite ogni cinque anni.
Per evitare il depauperamento della sostanza organica, è obbligatorio apportarne sotto forma di letame di bovino maturo o altri composti organici.
Per quanto riguarda l’apporto di letame questo andrà distribuito nel periodo compreso tra la raccolta delle ultime produzioni dell’anno solare e i primi trapianti del nuovo anno.
Le unità fertilizzanti distribuite in questo periodo, considerando la lenta mineralizzazione di questo prodotto, andranno ripartite per i tre cicli colturali seguenti.
L’apporto di altri prodotti organici (con titolo di azoto compreso tra l’1,0% e il 3,5%) deve essere effettuato per ogni ciclo colturale con quantità non superiori alle 2 tonnellate ad ettaro.
Vista la permeabilità dei terreni, l’apporto di concimi chimici azotati deve essere frazionato in almeno due interventi di cui quello in pre trapianto non deve superare il 50% della quantità da distribuire mentre l’ultimo deve essere effettuato non oltre i 15 giorni seguenti il trapianto.

Si dovrà intervenire, adottando volumi d’acqua ridotti e costanti, una o due volte al giorno dopo la messa a dimora delle piantine e fino al superamento della crisi di trapianto, la cui durata non deve superare i 15 giorni dal trapianto stesso.
Successivamente si dovranno limitare gli apporti idrici in quanto la presenza di una falda freatica alta tipica della zona, consente alla coltura di sopperire alle normali esigenze idriche. Inoltre, l’intervento irriguo eseguito dopo la crisi di trapianto, se non necessario, risulta dannoso in quanto favorisce lo sviluppo di marciumi.
Circa il metodo di irrigazione sono consentiti l’utilizzo di “manichetta” (irrigazione a goccia) o l’aspersione a bassa portata (piccoli irrigatori) per evitare il compattamento del terreno.

La produzione unitaria massima, per ciclo produttivo, riferita ad ettaro è di:
– tonnellate 55 per la cultivar Cappuccia;
– tonnellate 50 per la cultivar Gentile.
Alla raccolta seguirà una toelettatura, che consiste in una pulizia del cespo (eliminazione delle foglie basali), cui seguirà la collocazione dei cespi di lattuga nei contenitori utilizzati per la vendita.
Entrambe le operazioni si eseguono in campo allo scopo di evitare ulteriori manipolazioni che comporterebbero un peggioramento qualitativo del prodotto.
Una volta eseguite queste operazioni il prodotto verrà trasportato nel centro aziendale del produttore dove verrà effettuato il lavaggio della lattuga senza toglierla dall’imballaggio.
Effettuato il lavaggio si completerà l’operazione di confezionamento mediante l’apposizione sulla parte superiore dell’imballaggio di una pellicola trasparente.

Nel caso in cui la singola azienda sia associata ad una cooperativa di produttori, il lavaggio potrà essere eseguito presso la sede della cooperativa stessa.
È importante che il confezionamento avvenga in zona in quanto le fasi di raccolta, toelettatura, lavaggio e confezionamento devono essere molto ravvicinate, per evitare il decadimento delle caratteristiche fisiche ed organolettiche del prodotto.
Sottoporre infatti l’Insalata di Lusia a manipolazioni eccessive e a lunghi trasporti comporterebbe la perdita delle caratteristiche di turgidità e croccantezza delle foglie.

Storia e curiosità

L’Insalata di Lusia è apprezzata dal consumatore per la leggerezza del cespo, per la sua buona conservazione, per l’assenza di fibrosità (la pianta è composta in larga parte d’acqua), per la croccantezza delle foglie giovani,fresche e turgide e per il suo gusto, dovuto ad una naturale sapidità.
Tali qualità sono legate alla zona geografica e alla particolare combinazione di alcuni fattori pedo- climatici del territorio di produzione dell’”Insalata di Lusia” quali la presenza di terreni fertili sciolti ricchi di sali minerali, l’umidità atmosferica, la presenza d’acqua costante lungo i canali.

La particolarità gustativa dell’insalata di Lusia è la percettibile sapidità che ne rende superfluo il condimento con il sale e che è dovuta alla presenza nei terreni di abbondanti sali minerali.
Infatti, i terreni della zona oggetto dell’I.G.P. è formato da uno strato superficiale di sabbie portate dalle numerose alluvioni, causate in periodi pre romanici e nell’Alto medioevo dallo straripamento di alcuni rami del Tartaro e in periodo medioevale e moderno dalle rotte dell’Adige.
L’ultima grande rotta dell’Adige risale a fine 1800 e le immense dune di sabbia formate da quell’alluvione sono state spianate con lungo lavoro che è durato fino al 1960.
Su questa sabbia, unificata da un secolo di vegetazione spontanea, viene piantata l’insalata di Lusia, più ricca delle altre in contenuto di betacarotene e soprattutto in potassio e calcio.

L’alta falda sotto il coltivo alimentata dall’Adige, che in questa zona è completamente pensile, e i fossetti d’irrigazione tenuti sempre pieni tengono costante l’umidità del terreno tanto da poter limitare le irrigazioni alla fase immediatamente successiva al trapianto.
Ciò comporta minor dilavamento della foglia con conseguente minor dispersione dei nutrienti che contiene e minor necessità di trattamenti antifungini.
La falda superficiale si trova ad un metro di profondità ed è mantenuta costante grazie ad un sistema di canali artificiali. L’insieme di questi fattori consente di diminuire gli interventi irrigui e di conseguenza la diffusione di marciumi, lasciando intatto il gusto fresco e la croccantezza tipiche della Insalata di Lusia, che la contraddistinguono da insalate prodotte in altri zone.
La disponibilità di acqua garantita dal fiume Adige, l’altezza della falda freatica e la tessitura del terreno, consentono la coltivazione dell’insalata anche nei periodi estivi (Luglio–Agosto), con ottimi risultati garantendone la presenza sul mercato per 10–11 mesi all’anno.
In effetti, i terreni sciolti e di medio impasto con tessitura grossolana, tipici della zona arginale del fiume Adige, e la buona permeabilità, che favorisce lo sgrondo dell’acqua piovana, permettono di eseguire le lavorazioni in modo ottimale con qualsiasi condizione climatico-meteorologica.

Oltre a quanto detto, anche l’esperienza maturata nel corso di un cinquantennio di coltivazione delle insalate e il sapiente lavoro dei produttori, ha permesso di affinare le tecniche produttive, ottimizzando così le sinergie derivanti da un giusto equilibrio tra fattori climatici ed agronomici.
Alla fine del 1800 i terreni di Lusia e dei comuni limitrofi furono ricoperti da uno spesso strato di sabbia riversato dall’alluvione del fiume Adige.
La formazione di un nuovo suolo molto permeabile costrinse gli abitanti ad abbandonare le colture tradizionali (grano e mais).
Ma già dai primi anni del 1900 fecero la loro comparsa le colture orticole, che sfruttando le caratteristiche del nuovo terreno unite alla abbondante disponibilità di acqua derivata dalla vicinanza del fiume Adige, consentivano delle produzioni di qualità.

Una lettera degli anni 30, di un produttore dell’epoca indirizzata ad un’autorità ecclesiastica, descrive le condizioni dei terreni, degli orticoltori, e della loro difficoltà nel commercializzare i propri prodotti orticoli.
Già in quegli anni su alcuni quaderni manoscritti da produttori della zona compariva il termine di insalata che si utilizzava per indicare in modo generico sia le lattughe sia le indivie.
Ma già nel 1933 in altri quaderni compariva la dicitura “latuga” o “salata” che identificava la Lattuga Cappuccia.
La prima documentazione statistica risale agli anni 50 e coincide con la fondazione della Centrale Ortofrutticola di Lusia.
Nei dati statistici del 1956, le “insalate” risultano essere il secondo prodotto, per quantità, transitato per il mercato locale, dopo la patata.
Negli anni 60 alcuni commercianti della zona, grazie agli scambi commerciali con il mercato ortofrutticolo di Verona, notarono la Lattuga Gentile.
Questa tipologia fu presto introdotta nelle aziende locali.
Qui, grazie alle favorevoli condizioni pedoclimatiche, si ottennero ottimi risultati quali-quantitativi tanto da indurre i produttori ad iniziare una selezione varietale atta ad individuare le cultivar che esaltassero le caratteristiche organolettiche di questa insalata.
La dimostrazione dell’uso consolidato della denominazione Insalata di Lusia è provata tra l’altro dall’uso del termine “salatari” per definire gli abitanti del comprensorio di Lusia.
Tale termine dialettale significa “produttori d’insalata” e la sua diffusione è indice della fama di ortolani degli abitanti della zona (definita la “Capitale degli Orti”) e soprattutto della ormai nota insalata che si produce nel loro territorio.

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