DOP Sicilia

Ciliegia dell’Etna

La Ciliegia dell’Etna è una Denominazione di Origine Protetta (DOP) presente nell’elenco nazionale approvato dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali, i cui requisiti sono regolamentati dal disciplinare di produzione della Regione Sicilia.

Caratteristiche

La DOP Ciliegia dell’Etna è attribuita ai frutti del ciliegio dolce “Prunus avium L.” famiglia delle rosaceae.
La coltivazione del ciliegio, nell’area considerata, fa riferimento all’ecotipo Mastrantonio/i nota anche Donnantonio/i.

Al momento dell’immissione al consumo la Ciliegia dell’Etna deve essere costituita da frutti interi, di aspetto fresco e sano, asciutti, puliti, privi di sostanze estranee visibili, di colore rosso brillante, di pezzatura medio-grossa, croccante all’esterno ed una polpa molto compatta ed un peduncolo lungo.
La ciliegia dell’Etna si caratterizza per i frutti croccanti, dolci ma non stucchevoli, caratterizzati, soprattutto, da una bassa acidità.
L’elevato tenore zuccherino associato alla bassa acidità dei frutti conferisce un sapore molto gradevole ed equilibrato, distintivo della Mastrantonio/i allevata sul massiccio etneo.

Coltivazione

I sistemi di conduzione degli impianti della D.O.P. Ciliegia dell’Etna sono riconducibili alle tecniche di produzione antiche, consolidate dalla tradizione, e tengono in considerazione le prerogative del quadrinomio costituito dal tipo di cultivar di ciliegio, dal suolo, dal clima e dallo uomo.

La coltivazione deve essere condotta con uno dei seguenti metodi:
– convenzionale, in uso nella zona, con l’osservanza delle norme di “Buona Pratica Agricola” della Regione Siciliana;
– integrata, ottenuta nel rispetto delle” Norme Tecniche” previste dal disciplinare della Regione Siciliana in applicazione del Reg. (CE) 1257/99;
– biologica, secondo il Reg. (CE) 834/2007 e successive modifiche ed integrazioni.

Nei nuovi impianti, la preparazione dei terreni deve prevedere: analisi chimico-fisiche del terreno, secondo metodi ufficiali, allo scopo di realizzare eventuali impianti di drenaggio e qualità/quantità delle concimazioni di fondo con la distribuzione di sostanza organica ed eventuali concimazioni minerali, lo scasso e quindi l’interramento della sostanza organica, ed altre azioni correttive, il livellamento delle superfici per facilitare il deflusso delle acque.

Gli impianti del tipo tradizionale caratterizzati da esemplari di grandi dimensioni e possono coesistere in consociazione all’agrumeto nella fascia pianeggiante collinare, al frutteto o vigneto nella fascia montana.
Nell’impianto è ammesso esclusivamente l’uso di astoni (certificati) di ciliegio selvatico Prunus avium o di altri soggetti del genere Prunus, anche ibridi.
I portinnesti utilizzati in funzione del tipo di terreno (condizioni di umidità, profondità e tessitura) e di coltivazione (forme di allevamento e sistemi di potatura) sono il “franco” (Prunus avium L.) e suoi derivati, per le eccezionali doti di adattamento a terreni poveri, ricchi di scheletro e sciolti con scarsa disponibilità idrica e per la loro resistenza alle malattie fungine.
Sono ammesse tutte le forme di allevamento sia in volume che in parete.
Per le forme in volume, specie per i nuovi impianti, la chioma potrà assumere, con operazioni di potatura, una forma a vaso basso su tre o quattro branche principali; per le forme in parete si può fare riferimento alla spalliera o alla ipsilon.
Adottando queste forme di allevamento a ridotto sviluppo, sarà possibile utilizzare mezzi di difesa fisica (coperture fisse o mobili quali reti o films plastici).

Gli innesti possono essere a ”marza” (a scheggia, a triangolo, a spacco) quando eseguiti a gemma dormiente, mentre a corona o a gemma nel periodo vegetativo.

La densità di piantagione massima ammessa è di 625 piante per ettaro. Nei nuovi impianti, i sesti non dovranno essere inferiori alle seguenti ampiezze minime: metri 3,50/4,50 sul filare e metri 5,0/7,0 tra i filari.
La densità d’impianto deve garantire le operazioni colturali (lavorazione – potatura – raccolta) con l’ausilio di macchine e la loro movimentazione.

Viene adottata la tecnica di aridocoltura con lavorazioni a 20-30 cm di profondità, in primavera.
Le concimazioni devono tenere conto di quanto previsto dalla “Buona Pratica Agricola” della Regione Siciliana.
Adottando il “Metodo di Coltivazione Biologico”, l’impiego periodico di sostanza organica, il ricorso alla pratica del sovescio e l’uso di cover crops, sono raccomandati.

In considerazione della lunga stagione vegetativa in periodo asciutto, risulta diffuso il ricorso ad impianti irrigui localizzati che consentono irrigazioni di soccorso e fertirrigazione.
E’ sempre richiesto, dopo il trapianto, per 1-2 stagioni, l’uso dell’irrigazione di soccorso.

La difesa fitosanitaria dovrà salvaguardare e tutelare la salute umana, l’agro-sistema ed in particolare il patrimonio apistico locale, facendo riferimento alle “Norme Tecniche” previste dalla Regione Siciliana.
Inoltre vengono adottate le seguenti pratiche agronomiche: la potatura di arieggiamento delle chiome, l’eliminazione delle eventuali produzioni non raccolte, la corretta gestione del terreno in primavera e il controllo del deflusso delle acque in eccesso.

La raccolta della “Ciliegia dell’Etna” D.O.P., seguendo la naturale maturazione del frutto, deve essere effettuata a mano (con il peduncolo per evitare infezioni e marciumi), disponendo il prodotto direttamente nei contenitori adatti, con pareti rigide di dimensioni adeguate per evitare danni da costipamento, dopo essere state sottoposte ad una prima selezione per eliminare i frutti di scarto e non rientranti nella categoria “extra” e “1° Categoria”.

Il condizionamento della Ciliegia dell’Etna D.O.P. deve avvenire nell’ambito della zona di produzione per impedire che il trasporto dello stesso allo stato sfuso causi il deterioramento e la perdita delle sue peculiari caratteristiche.
Infatti, le operazioni di manipolazione e trasporto potrebbero causare il deterioramento dei frutti ed in particolare dell’esocarpo e della polpa, con ammaccamenti, spacchi e quindi insorgenza di muffe, che andrebbero ad inficiare la qualità del prodotto immesso al consumo con la denominazione Ciliegia dell’Etna DOP.
È dunque necessario che tali operazioni siano eseguite all’interno dell’areale di produzione da personale specializzato e il prodotto non può essere trasferito prima del suo confezionamento definitivo.
Tali operazioni devono essere eseguite entro 12 ore dalla raccolta. In ogni caso i frutti, dalla raccolta fino al momento del confezionamento, devono essere mantenuti in luoghi freschi ed ombreggiati al fine di evitarne lo scadimento.
Qualora la commercializzazione non sia effettuata nell’arco delle 48 ore i frutti devono essere trasferiti in cella frigorifero ad una temperatura compresa tra 18 e 20°C, ed in generale devono essere adottati tutti gli accorgimenti per rallentare il metabolismo respiratorio dei frutti.

La Ciliegia dell’Etna D.O.P. deve essere commercializzata allo stato fresco in contenitori nuovi, puliti ed asciutti, conformi alla legge, di altezza non superiore a 12 cm per evitare danni da costipamento, con una capacità non superiore ai 10 kg di prodotto. Deve essere inoltre indicata la categoria di vendita.
Il prodotto così confezionato deve contenere esclusivamente ciliegie della varietà Mastrantonio/i, con grado di maturazione e pezzatura uniforme.
Ciascuna confezione deve essere chiusa mediante un apposito sigillo di garanzia in maniera tale che l’apertura della confezione comporti la rottura del sigillo stesso.

Caratteristiche territoriali

Il riconoscimento della Ciliegia dell’Etna come Prodotto a Denominazione di Origine Protetta è giustificato dall’ottenimento di frutti caratterizzati da un contenuto zuccherino medio alto e, soprattutto, da un’acidità molto bassa.
Quest’ultima consente che il prodotto sia percepito dolce ed equilibrato, ma non stucchevole.
A queste caratteristiche va poi aggiunta anche la particolarità dei tempi di maturazione che sono più ampi rispetto ad altre ciliegie perché proporzionati al progressivo innalzamento rispetto al livello del mare dei terreni di coltivazione della zona del vulcano Etna.
I frutti si presentano inoltre turgidi e di un colore rosso brillante.
Tali specificità sono intrinsecamente associate alle tecniche di lavorazione, orientate ad una più bassa produzione ma di alta qualità, e ai fattori pedo-climatici del territorio.

La zona delimitata è caratterizzata da suoli che evolvono su substrati di origine vulcanica: nella fascia montana si hanno suoli che presentano profilo poco profondo, elevata rocciosità superficiale, tessitura sabbiosa e ricca di scheletro, mentre dalla fascia collinare e litoranea sono presenti profili più evoluti, profondi, con tessitura franco-sabbiosa, suscettibili di irrigazione.
La distribuzione del territorio fino ad altitudini di 1600 metri s.l.m. conferisce alla Ciliegia dell’Etna parametri esclusivi in termini di tempi di maturazione.
In effetti, questi ultimi coprono un ventaglio molto ampio che per l’ecotipo Mastrantonio/i va dall’ inizio di giugno fino alla terza decade di luglio. I casi di gelate sono rari e da ricondurre a fenomeni di inversione termica, meno evidenti nelle aree più ventilate di collina.
Si registrano valori assoluti delle temperature massime con punte di 44,3°C a luglio e mediamente si hanno valori di 39-40°C.
I valori annui delle precipitazioni raggiungono i massimi della provincia e della stessa Sicilia ed aumentano con il crescere della quota.

La zona del massiccio etneo è molto nota per la sua produzione di ciliegie e per la loro qualità. Il nome “Etna” è strettamente legato alle ciliegie considerato che in Italia un gran numero di consumatori associa il luogo con il prodotto “ciliegia” e viceversa.
Le peculiarità della Ciliegia dell’Etna sono strettamente determinate dalle caratteristiche morfologiche e pedo-climatiche dell’areale di produzione nonché dal contributo fornito dai coltivatori nella preparazione dei terreni e nella gestione degli impianti.
Infatti, se l’esposizione dell’area geografica di produzione a Est Sud-est, l’elevato grado d’insolazione, i venti dominanti e le notevoli escursioni termiche rappresentano condizioni climatiche favorevoli alla coltivazione delle ciliegie, le difficoltà derivanti dall’estrema vicinanza al vulcano dell’Etna hanno richiesto notevoli sforzi da parte degli agricoltori locali nel rendere produttive le estese superfici di lave aspre e brulle.
A tal proposito infatti il contributo offerto dall’uomo si è tradotto nella messa in opera di faticose lavorazioni agronomiche di captazione di acque sotterranee, di scasso delle terre e di terrazzamento dei terreni, che hanno portato allo sviluppo di impianti a diversa altitudine e a competenze specifiche da parte degli agricoltori nella loro gestione.
Ancora oggi, il continuo impegno dei coltivatori locali nella cura e nella corretta conduzione degli impianti che sorgono lungo le pendici dell’Etna, rende possibile una scalarità nella maturazione dei frutti con conseguente ampliamento del calendario di raccolta e permette alla Ciliegia dell’Etna di beneficiare al massimo delle condizioni climatiche particolarmente favorevoli e produrre frutti apprezzabili per la brillantezza del colore, la consistenza e il sapore delicato.
La qualità del prodotto, del resto, è confermata dal successo della tradizionale sagra.

Quindi oltre all’ambiente naturale anche il fattore umano, con la sua secolare tradizione, la fatica a trasformare le “sciare” (dall’arabo terra bruciata) in terreni fertili, il diffuso ricorso ad impianti irrigui localizzati che consentono irrigazioni di soccorso e fertirrigazione in considerazione della lunga stagione vegetativa in periodo asciutto, ha contribuito in maniera determinante a caratterizzare il forte legame tra la “Ciliegia dell’Etna” ed il territorio etneo.
In effetti, attorno alla coltivazione della Ciliegia dell’Etna si è stratificato negli anni un retroscena culturale ed un importante indotto economico fatto di mestieri, tradizioni e usi ripetuti nei secoli dai coltivatori ortofrutticoli che ancora si tramandano nel lessico dialettale il nome di “cirasa” o “ciriegia”, la preparazione dei terreni noti come “terre scatinate” ovvero i terreni derivanti dalle opere di dissodamento delle lave, le tecniche di coltivazione che prevedono pratiche di innesto a “sgroppo” o a “pezza” e la tecnica di raccolta manuale con l’utilizzo di scale a trenta pioli e con ceste note come “panari”.

In conclusione, sulla base di tutti questi elementi è possibile affermare, come già riportato da diversi autori, che la coltivazione della “Ciliegia dell’Etna” affonda antiche radici nel territorio etneo e che l’esperienza degli agricoltori del luogo, acquisita di generazione in generazione, con continua ricerca e messa in atto di specifiche tecniche colturali, ha determinato le condizioni affinché la coltivazione della Ciliegia dell’Etna si consolidasse con successo nel tempo, fino a costituire un patrimonio storico-tradizionale e culturale del territorio.

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