PAT Sardegna

Cicerchia sarda

La cicerchia sarda (Lathyrus sativus L.) è una Fabacea della granella secca coltivata in Sardegna per l’alimentazione umana.

Nell’isola questo legume era presente con numerose linee di selezione, molte delle quali oggi risultano estinte o relegate alla coltivazione finalizzata al consumo familiare. La maggior parte di queste presentano le tipiche caratteristiche delle cicerchie selezionate per il consumo umano: le piante presentano una ridotta produzione di biomassa a vantaggio di una produzione elevata di fiori e baccelli, ed i fiori sono spesso bianchi o biancastri venati di azzurro/violetto, e solo secondariamente completamente blu o violetti.

Si tratta di piante erbacee annuali a portamento strisciante, con fusti ramificati di 15-45 cm e stipole prominenti di forma triangolare.
Le foglie sono pennate ed opposte e presentano cirri semplici.
I fiori sono ascellari e solitari, bianchi o biancastri, spesso con screziature rosa, violette o blu.
I baccelli contengono in media 3 semi, di non oltre i 5 mm di diametro, angolosi e cuneiformi, più o meno appiattiti, con colorazione dal bianco sporco, all’avorio, al nocciola chiaro e sparsamente punteggiato di nero, marrone o rossastro.

Tali popolazioni presentano la variabilità tipica delle landraces, soprattutto nella forma e colorazione del seme che nella cicerchia sarda non è mai perfettamente costante: una stessa popolazione, pur presentando una certa costanza nella forma, dimensione e colore dei semi, presenta sempre una certa percentuale di anomalie (es. semi di forma, dimensioni e colore diversi). In linea di massima si rinvengono nell’isola selezioni a seme da quasi completamente bianco sino a linee con seme completamente punteggiato di nero su fondo nocciola.

Tuttavia, la selezione di cicerchia sarda maggiormente ricordata dagli anziani di tutta l’isola ed ancora presente negli orti domestici di tante famiglie sarde, presenta tutte le caratteristiche sopra descritte e semi principalmente color avorio sparsamente punteggiati di nero o bruno scuro, soprattutto lungo gli angoli a formare un cercine scuro attorno al seme.

Per quanto riguarda il territorio interessato alla produzione, la cicerchia sarda interessava in passato un territorio molto vasto che comprendeva praticamente tutti gli ambiti rurali dell’isola, ed in particolar modo quelli marginali dei settori a vocazione schiettamente agricola, come il Campidano (nelle subregioni del Basso Oristanese, Monreale e Campidano di Cagliari), la Marmilla, il Linas, Parteolla e Trexenta, Basso Sulcis, e secondariamente alcune aree dell’interno (Barbagia, Barigadu etc.).
In tale contesto, la coltivazione della cicerchia risultava trascurabile nei centri avvantaggiati dalla presenza di grandi estensioni di terreni fertili ed adatti alla coltivazione di cereali (frumento) e legumi di maggiore importanza economica (ceci, fave, piselli), mentre assumeva un ruolo rilevante nell’alimentazione umana (e quindi nell’economia agricola locale e familiare) nei centri maggiormente svantaggiati dal punto di vista geografico-ambientale.

Oggi la cicerchia sarda, in tutte le sue selezioni, è praticamente scomparsa dal panorama agricolo locale: la sua coltivazione a fini produttivi-economici è quasi esclusivamente relegata, alla subregione della Marmilla, territorio dove ha mantenuto una continuità e per tale motivo viene universalmente riconosciuta come prodotto tipico locale.
Diversamente nel resto dell’isola (in particolare nelle regioni del Linas, del Monreale e della Trexenta, ma anche nel Basso Sulcis e nell’Oristanese dove è stata re-introdotta di recente) è coltivata di norma solo a livello familiare ed hobbistico.

Coltivazione

La cicerchia sarda è una coltura rustica e poco esigente, che per la sua grande adattabilità a vegetare e produrre in terreni poveri e marginali è stata mantenuta come “alimento salvavita” fino a non troppi decenni orsono.

Il legume si può quindi seminare su suoli superficiali e scarsamente fertili, con alta pietrosità e con alte concentrazioni di carbonati; tuttavia le rese (numero di baccelli per pianta e dimensioni dei semi) aumentano se è coltivato in terreni dalle prestazioni migliori.

Il ciclo colturale inizia in novembre con la semina in pieno campo. Questa, a seconda dell’andamento delle condizioni climatiche, tradizionalmente può protrarsi sino al mese di gennaio, raramente (in annate molto fredde e piovose) a marzo.

Infatti, semine più tardive, oggi utilizzate per molte leguminose da parte delle aziende fortemente meccanizzate e dotate di irrigazione artificiale, sono da evitare per non ridurre eccessivamente il tempo che la pianta ha a disposizione per crescere, e per limitare le infestazioni di parassiti.

Tradizionalmente vengono seminati 3-4 semi in postarelle distanti 15-25 cm (a paloni), o in file continue (a codroni) con distanze di 10 cm sulla fila e 40 cm tra una fila e l’altra.

Tra gennaio ed aprile sono previsti 2-4 interventi di rincalzatura, sarchiatura e scerbatura, generalmente manuali o in parte assistiti dalla piccola meccanizzazione.

La raccolta manuale avviene quando le piante sono in fase di senescenza ma non ancora completamente disseccate (melòngia), e consiste nell’estirpatura dell’intera pianta e nella realizzazione di covoni di forma più o meno cilindrica, che verranno lasciati sul campo o in altro sito per terminare l’essicazione e procedere con la trebbiatura.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per continuare nella navigazione, è necessario accettare i nostri cookies. maggiori informazioni

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close